Leggo un po’ stupito l’articolo postato su Umbrialeft e ripreso da Il Manifesto riguardante il tema della Decrescita. Stupito perché l’autore invece che soffermarsi sulla critica radicale di Serge Latouche all’economia assorta come unico ed infallibile paradigma del presente, prende in considerazione solo alcuni aspetti marginali della “teoria della decrescita”.Intanto per essere chiari l’infausto nome decrescita è limitante e non poco sulla vera novità di questa critica all’economico. A me piace definirla il progetto di una “economia” civile o della felicità, concetto sviluppato soprattutto da un gruppo di economisti italiani (rappresentato principalmente da Stefano Zamagni, Luigino Bruni, Benedetto Gui, Stefano Bartolini e Leonardo Becchetti) che si ricollega alla tradizione aristotelica e trae origine da una critica profonda dell’individualismo.
“La frugalità ritrovata – ha scritto Latouche – è un’economia postindustriale all’interno della quale le persone sono riuscite a ridurre la propria dipendenza nei confronti del mercato, e lo fanno proteggendo – con mezzi politici – un’infrastruttura in cui tecniche e strumenti servono, essenzialmente, a creare valori di uso non quantificato e non quantificabile dai fabbricanti professionali di bisogni. Si tratta di uscire dall’immaginario dello sviluppo e della crescita, e di re-incastonare il dominio dell’economia nel sociale attraverso una Aufhebung (toglimento/superamento)”.
“Uscire dall’immaginario economico – continua Latouche – implica rotture molto concrete. Sarà necessario fissare regole che inquadrino e limitino l’esplosione dell’avidità degli agenti (ricerca del profitto, del sempre più): protezionismo ecologico e sociale, legislazione del lavoro, limitazione della dimensione delle imprese e così via. E in primo luogo la “demercificazione” di quelle tre merci fittizie che sono il lavoro, la terra e la moneta. Parallelamente a una lotta contro lo spirito del capitalismo, sarà opportuno dunque favorire le imprese miste in cui lo spirito del dono e la ricerca della giustizia mitighino l’asprezza del mercato.
Certo, per partire dallo stato attuale e raggiungere “l’abbondanza frugale”, la transizione implica nuove regole e ibridazioni e in questo senso le proposte concrete degli altermondialisti, dei sostenitori dell’economia solidale fino alle esortazioni alla semplicità volontaria, possono ricevere l’appoggio incondizionato dei partigiani della decrescita. La concezione dell’utopia concreta della costruzione di una società di decrescita è rivoluzionaria, ma il programma di transizione per giungervi è necessariamente riformista”.
Quindi mi sembra chiaro l’orizzonte indicato da Latouche…Utopia? Forse, ma alcuni segnali ci indicano il contrario…
In Umbria ed in particolare nel territorio altotiberino ci sono dei segnali importanti e che la Politica o meglio una certa Politica, non può ignorare: la diffusione dei Gas (Gruppi acquisti solidale) del Gav (Gruppi acquisti valtiberino) creato da alcuni giovani del circolo Alice di San Giustino, gruppi che creano una rete di “mercato alternativo” promuovendo la vendita di prodotti biologici locali “dal produttore al consumatore” che sovvertono concretamente il paradigma di uno sviluppo immodificabile. La rete del baratto che si sta diffondendo anche nei nostri territori, il commercio equo solidale, una parte importante dell’ambientalismo che ha compreso che la critica “senza se senza ma” ad uno sviluppo che deprime il territorio facendolo diventare un qualcosa di puramente economico, non può che essere la base della proprio agire…
Insomma la teoria della “decrescita felice” è piena di buoni esempi e di segnali incoraggianti. Non coglierli soffermandosi su aspetti secondari, mi pare quantomeno fuorviante sulla reale importanza di una così radicale critica all’economico che di questi tempi pare diventato, anche a livello politico, il Totem da adorare e al quale sacrificare diritti, ambiente, lavoro…in altre parole la propria anima!
Simone
Cumbo
Presidente
Legambiente Alto Tevere