«A proposito del concentrarsi sul sistema invece che sul sintomo. Pensiamo al traffico. Ci sono troppe macchine sulle strade e troppe persone senza requie; e troppo inquinamento atmosferico per via delle macchine. Nell’insieme, tutto ciò costituisce quella che i medici chiamano una “sindrome”, cioè un complesso di sintomi
(…) c’è qualcuno che viene pagato per rendere più sopportabile la spinta patologica. Curiamo i sintomi: costruiamo più strade per più macchine e costruiamo sempre più macchine sempre più veloci per gente senza requie; e quando le persone (giustamente) muoiono per ipernutrizione o d’inquinamento, cerchiamo di rafforzare lo stomaco e i polmoni. (…) Per venire incontro al sovrappopolamento costruiamo più case. E così via. Il paradigma è questo: curare il sintomo in modo da rendere il mondo confortevole per la patologia. In realtà è ancora peggio di così, perché scrutiamo anche il futuro e cerchiamo di scorgere sintomi e disagi che verranno. Prevediamo gli intasamenti sulle autostrade e mediante appalti statali invitiamo le imprese ad allargare le strade perché possano contenere automobili che ancora non esistono. In questo modo milioni di dollari vengono impegnati in ipotesi di futuri aumenti di patologia. Dunque il medico che si concentra sui sintomi rischia di proteggere o incoraggiare la patologia di cui i sintomi fanno parte.»Gregory Bateson (1997), Una sacra unità. Altri passi verso una ecologia della mente, Milano, Adelphi, (v.o 1991), pp. 440-1.
di Luca Trepiedi
1. Ancora strade
Anni di cantieri e disagi per le comunità. Costi di progettazione ed esecuzione destinati a crescere. Effetti e tempi di ritorno incerti a fronte di una spesa economica ingente per le casse pubbliche, diretta per lo più a grandi società di costruzione con minimo beneficio per imprese o lavoratori locali. Questo in sintesi è ciò che ci consegna il panorama italiano degli interventi recenti in opere stradali, ed è quello che abbiamo vissuto in Umbria con il caso Quadrilatero le cui enormi difficoltà realizzative (a vent’anni dalla proposta) sono la più chiara testimonianza di provincialismo e megalomania applicato al settore. La sorte del doppio corridoio umbro-marchigiano e di altri annosi progetti simili sconsiglierebbe di avventurarsi in imprese analoghe.
Invece la Regione avvia un “mega progetto” sullo stesso modello (economicamente incerto e calato dall’alto), con in più l’aggravante di intervenire sulla viabilità dell’area più popolata dell’Umbria non in un tratto di valico appenninico. Dal punto di vista strategico, la risposta del “nodino” al problema di accessibilità e traffico di Perugia evidenzia inoltre almeno tre carenze di visione di cui è fondamentale parlare e chiedere conto ai decisori locali:
- il primo è quello di far coincidere la politica della mobilità urbana con i soli progetti infrastrutturali, mentre è possibile azionare leve spesso più efficaci e rapide come tempi di ritorno per incrementare la mobilità sostenibile di cittadini e imprese
- il secondo errore è perseverare in nuovi ampliamenti stradali, sottraendo risorse per altri impieghi, in un contesto in cui l’auto già drena ingentissime somme pubbliche e familiari (in costi diretti per acquisto di veicoli e servizi, in conseguenze come incidenti, inquinamento, spese crescenti di manutenzione dell’estesa rete stradale oggi in uso)
- il terzo errore è quello di ignorare costi sociali ed economici di tale modello di sviluppo in chiave di sostenibilità ambientale e climatica futura, alimentando una forma urbana e un modo di concepire la città del tutto privo di qualità, che pagheranno a lungo e a caro prezzo gli abitanti delle aree interessate e le generazioni future in genere.
2. Non siamo mica gli americani
La scelta regionale va inquadrata nel periodo. Molti governi nazionali non esitano a usare le risorse pubbliche straordinarie di questa fase (pandemia e transizione verde) per riesumare progetti di investimento nel cassetto da anni. Qualche volta si rianimano “fantasmi”, come per il ponte sullo Stretto di Messina, per ora solo candidato a un nuovo studio di fattibilità preliminare alla realizzazione. Altre volte, è il caso dell’”infrastrutture framework” di Biden in USA, gli stimoli governativi vanno a riparare le autostrade esistenti, i ponti e le arterie stradali obsoleti: un approccio diverso in grado per una volta di guardare anche oltre il sistema dell’auto, grazie al programma sulla viabilità locale (“complete street”) che stabilisce per legge una certa percentuale di risorse destinate alla sicurezza di ciclisti e pedoni, nonché a un’altra innovazione come lo stanziamento di somme per la rimozione delle autostrade urbane (“reconnecting communities”) a favore di viali, spazi e vita di quartiere. L’Umbria sembra muoversi sul solco tradizionale, tentata dal riesumare “fantasmi”.
Il cosiddetto “nodino”, come noto, è lo stralcio di un progetto studiato vent’anni fa per separare il traffico di lunga percorrenza tangenziale all’area di Perugia da quello locale di accesso al capoluogo, e quindi risolvere in tal modo problemi di viabilità in una città che gareggia in Europa per record di auto pro capite ma anche (bel rompicapo!) per estensione della rete stradale necessaria a collegare l’ampio territorio. Un modo semplice per affrontare un problema complesso come il traffico, che nessuna strada in più potrà mai risolvere se per principio ne ignora le cause: il pendolarismo originato da periferie e zone abitate monouso cresciute a dismisura negli ultimi decenni.
3. Il non detto sulla sostenibilità delle strade
L’idea di Anas, sposata dal Governo dell’Umbria, fa storcere il naso per più ragioni sulle quali è difficile tacere[1]. In sintesi merita notare che si interviene a costi economici rilevanti (oltre 200 milioni di €) sulla porzione più piccola del problema, il traffico di scorrimento nord-sud a cui è destinata la bretella complanare alla E45, per lasciare intatto il resto della viabilità per chissà quanti anni ancora, specie il punto critico costituito dalle gallerie del raccordo Perugia-Bettolle oltremisura intasate di auto nelle ore di punta. Una questione presente da tempo, oggi aggravata dai ritardi nel ripristino di servizi ferroviari decenti e da una politica di ridimensionamento del trasporto pubblico su gomma di anni, su cui sarebbe urgente una riflessione dalla quale la stessa Regione non può sottrarsi.
I proponenti a dire il vero non mancano di indicare problemi reali di congestione e inquinamento subiti specie dai residenti della zona di Ponte San Giovanni. Per avere effetti apprezzabili, tuttavia, il “nodino” esigerebbe un secondo tratto verso Corciano che, insieme a investimenti ingenti, fino al miliardo di euro, infliggerebbe agli stessi abitanti cantieri per anni, rumore, inquinamento dei camion e mezzi di scavo. A proposito di sostenibilità, stime alla mano, solo la stesa di un km di strada di 12 metri richiede, alla tecnologia attuale, 8 tonnellate di materiali la cui impronta di produzione equivale a 250 auto in viaggio per 10mila km l’anno e i cui costi sono destinati a crescere di scala data la “volatilità” dei prezzi di energia e materie prime usate per produrre e trasportare bitume e conglomerato. Viadotti e gallerie fanno ovviamente impennare questi parametri, aggiungendo altre complessità (finanziare, connesse alla gestione dei rischi presenti in qualsiasi tunnel) del tutto evitabili adottando una linea più prudente, adatta alla fase, per realizzare intanto gli interventi sulle sole rampe di svincolo così come previsto nel recente PUMS di Perugia e valutarne l’efficacia.
Questa soluzione “più pratica” consentirebbe non solo di evitare “il fantasma” dei soldi mal spesi ma permetterebbe di usare le somme risparmiate per contenere in altri modi il vero problema di Perugia, certificato da tutte le statistiche sulla motorizzazione in Italia, che sono le troppe auto in transito. Le idee non mancano, a partire da una vera strategia di rilancio della ex FCU e dai progetti per incentivare la mobilità sostenibile.
4. Nessuna novità rispetto al passato Una politica lungimirante in tempi di “Green deal” e transizione ecologica vedrebbe queste priorità e si porrebbe la questione di finanziare con il PNRR un programma per riqualificare la rete viaria esistente, di competenza locale, da tempo in stato di abbandono. Per inciso, rifare pavimentazioni con catrame drenante e da recupero, marciapiedi, segnaletica darebbe lavoro alle aziende locali molto più del “nodino”. Vorrebbe dire anche diminuire pericoli e preoccupazioni diffuse per chi va a piedi, in bici, oppure ha preso la patente da poco; ridurre danni e usura dei veicoli e, non meno importante, contenere il degrado dei materiali per le alte temperature, gli allagamenti o frane sempre più probabili nel mutato contesto climatico.
Una classe politica previdente si porrebbe poi un dubbio cruciale di opportunità. Poiché a ben guardare i benefici immediati della nuova arteria (delle nuove arterie visto l’altro intervento in agenda sul quadrante nord di Perugia) rischiano seriamente di essere annullati nel lungo periodo dal fatto di incentivare un modello di crescita verso l’esterno che la letteratura indica come tipico “americano”, non proprio al passo con i tempi essendo gli Stati Uniti il primo paese al mondo per consumo di risorse ed emissioni di CO2 pro capite.
5. L’importanza della forma urbana
Torna ancora la patria dell’auto con cui paragonarsi. Molte ricerche di reti di urbanisti, come CNU (Congress of New Urbanism) esprimono bene il punto: proprio in USA, coloro che vivono in un insediamento medio consumano ed emettono molto di più di quanti vivono in uno stesso luogo europeo. Un confronto tra San Francisco e Stoccolma arriva a quantificare ben sei volte in meno di emissioni, da parte svedese, per varie ragioni utili da considerare.
Parte della differenza si deve a fattori come le politiche governative o alle fonti energetiche, la cultura e così via. La variabile più esplicativa è però il fatto che a Stoccolma il tipo di insediamento è ad “uso misto”, compatto, ben servito dal trasporto pubblico. Al contrario, negli insediamenti americani-tipo prevale lo sviluppo suburbano convenzionale, costruito in gran parte attorno all’automobile, da cui i residenti dipendono anche per i viaggi di routine più brevi. I suoi spazi sono funzionalmente separati – casa, posto di lavoro, commercio, istituzioni – da cui l’esigenza di spostarsi spesso da una zona all’altra. L’espansione causa inoltre viaggi più lunghi in auto, oltre a eccesso di impianti e forme costruttive caratterizzate da una maggiore intensità energetica. E in quarto luogo, la città non è più una struttura di spazi pubblici composta da strade, piazze e parchi, definita da punti privati di sostegno e che forma un tessuto urbano continuo attraverso il quale le persone si muovono e interagiscono liberamente. Essa diventa una “collezione di capsule”: la capsula di casa, collegata dalla capsula dell’auto, alle capsule di lavoro e commercio e così via, in un cui lo spazio esterno è concepito come fascio di reti stradali utile a rendere quanto più breve possibile il viaggio.
6. Quando cominciamo a cambiare ricetta?
L’epoca che viviamo chiama a concentrare gli sforzi su due priorità: come incentivare modi di spostarsi più sicuri ed ecologici; come interrompere un ciclo vizioso che spinge le città (compreso Perugia) verso l’espansione incontrollata più simile al modello di vita americano che a quello europeo. Purtroppo tale ambizione pare lontana dalle preoccupazioni correnti della Regione Umbria e con il “nodino” si decide di replicare le ricette di gestione del traffico e sviluppo urbano degli ultimi trent’anni. Poco importa se ciò potrebbe facilmente annullare tutti gli altri sforzi per contenere le emissioni, ridurre l’impatto sul clima e aumentare la vivibilità dei luoghi urbani. Chissà cosa ne pensano i cittadini e quanti di loro sarebbero d’accordo gli amministratori una volta colta l’esatta portata delle questioni in gioco.
[1] Per approfondimenti si rimanda a molte delle osservazioni avanzate negli ultimi mesi da cittadini e associazioni riuniti nel Coordinamento Sciogliamo il nodo di Perugia, Comitato Salviamo Collestrada (link). Vedere anche la video intervista ai rappresentanti del comitato.