La Giunta regionale umbra presenta il nuovo Piano Regionale per la gestione dei rifiuti urbani e riporta improvvisamente indietro la regione di almeno venti anni, concentrando la programmazione sull’ampliamento di tre discariche e ponendosi l’obiettivo di realizzare un nuovo inceneritore dedicato a bruciare la parte non differenziata dei rifiuti urbani.
Aumenta un pochino l’obiettivo di differenziata, si passa infatti dal 72,3% attuale al 74,8%, (un giorno ci spiegheranno il perché dei numeri con la virgola), senza dare indicazioni circa gli strumenti per raggiungere tali performance, considerando che oggi siamo al 66% e da alcuni anni non è stato fatto nulla per accrescere il dato in maniera significativa.
“Uno sconsiderato arretramento rispetto ai faticosi passi in avanti fatti dall’Umbria in questi ultimi anni – è il commento di Maurizio Zara, presidente di Legambiente Umbria – risultati che erano anche la conseguenza della poderosa inchiesta della magistratura che aveva fatto emergere un uso distorto degli impianti e in generale della gestione dei rifiuti nella nostra Regione”.
“L’Umbria infatti dopo la maxi inchiesta Spazzatura d’oro connection si era faticosamente riallineata alla modernità – continua Maurizio Zara – anche se molto c’era e c’è da fare per portare avanti e completare la transizione ecologica. Infatti è ormai chiaro che le competenze e le responsabilità della gestione non possono essere delegate senza un fattivo e costante controllo pubblico da parte degli enti locali e dei cittadini. Così come è emerso con tutta evidenza che per far funzionare in modo virtuoso la gestione dei rifiuti la questione del quanto costa non è l’unico indicatore a cui far riferimento. Economia ed ecologia devono trovare una convergenza ed i vantaggi devono essere collettivi e non solo privati”.
La farsa della partecipazione pubblica della VAS
La scorsa estate era stata avviata la procedura di partecipazione pubblica nell’ambito della VAS (valutazione ambientale strategica), sulla base di documenti generici che riportavano semplicemente una fotografia dell’esistente senza approfondire i possibili scenari. Legambiente Umbria aveva presentato le sue osservazioni come sicuramente avranno fatto anche altri portatori di interesse. Ma delle osservazioni nessuna traccia, né sul sito, né nei documenti prodotti dalla Regione, come invece la procedura prevede.
Uno scenario che vincola l’Umbria per trent’anni
Dei tre scenari che il piano gestione rifiuti ipotizza, la politica regionale sceglie il più conservativo e meno innovativo, quello cioè di aumentare un minimo le percentuali di raccolta, ampliare le discariche fino a 1.000.000 di tonnellate e realizzare un nuovo inceneritore da 130 mila tonnellate/anno. Vincolando così la strategia regionale per i trenta anni futuri (questi i tempi di ritorno dell’investimento dichiarati come necessari per realizzare un nuovo impianto di incenerimento) e rendendo di fatto non conveniente né aumentare la differenziata oltre quel 74,8% che il piano pone, né ridurre la quantità di rifiuti prodotti.
L’Umbria come Copenaghen: un modello sbagliato
Quello di avere basse percentuali di raccolta differenziata e la produzione pro capite di rifiuti più alta d’Europa sono esattamente i problemi che hanno a Copenaghen, l’esempio citato dall’assessore Morroni e a cui fa dichiaratamente riferimento il Piano della Giunta regionale. E non va dimenticato che l’inceneritore di Copenaghen, tanto decantato dalla Giunta Tesei invece rappresenta a livello europeo un esempio negativo per i processi decisionali e la scarsa pianificazione adottati, nonché per gli impatti ambientali e il non rispetto dei parametri economici preventivati all’inizio e che la municipalità di Copenaghen è costretta anche ad importare rifiuti per alimentare il proprio inceneritore. Tanto che già nel 2020 il Ministro all’ambiente aveva definito la diminuzione dell’incenerimento e l’aumento del riciclaggio come gli obiettivi strategici del Governo danese e le uniche vere pratiche di economia circolare.
Per non parlare poi del fatto che un inceneritore ha un elevato impatto nella produzione di CO2, il principale gas serra che è causa dei cambiamenti climatici, anche quando si sfrutta per la produzione energetica. L’impronta di carbonio dell’incenerimento sta infatti tra i 650 e gli 800 grammi di anidride carbonica fossile per ogni kWh prodotto, quello medio di produzione energetica europea è di circa 250. Senza contare che gran parte del carbonio emesso viene dall’incenerimento di rifiuti urbani di natura fossile come plastica e tessuti sintetici.
Una chiusura del ciclo che sia veramente circolare
“Più che ribadire a sproposito la nota e consumata formula della chiusura del ciclo – conclude il presidente di Legambiente Umbria – sarebbe stato opportuno che finalmente la politica regionale avesse iniziato a ragionare alle diverse filiere e a come farle funzionare tenendo conto di tutte le fasi, dalla produzione dei beni, alla creazione a valle di un mercato efficace alle materie riciclate (vedi acquisti verdi per esempio), attivando politiche serie di riduzione rifiuti e obbligando i comuni più arretrati a raggiungere gli obiettivi di raccolta differenziata.
La Giunta regionale demanda ad AURI il compito del controllo senza definire con quali mezzi e con quali misure sanzionatorie. L’equivalente di una pacca sulla spalla insomma… Sappiamo bene infatti che se faciliti lo smaltimento con discariche e incenerimento li mettiamo in quella comfort zone in cui si può fare a meno di fare una raccolta differenziata di qualità (tanto si sa dove buttare gli scarti) e si fuoriesce infine dall’quell’economia circolare di cui tanto si parla”.